Let’s Work Together

hello@makoto.com

m. Conference

Via Appia Antica,
224, 00179 Roma, Italy
+1 312 749 8649

Back to top
Nell’accostarsi a un capolavoro ormai consegnato alla storia, in questo caso “Porgy and Bess” di George Gershwin, il pendolo interpretativo solitamente oscilla tra l’adesione filologica a una versione di riferimento e la più ampia libertà di reinvenzione.

Nella produzione originale del conservatorio Bellini di Palermo, presentata domenica sera al Teatro di Verdura, la strada scelta da Gaetano Randazzo, coadiuvato da Giuseppe Vasapolli e Alberto Maniaci, ha indicato un percorso inedito (da cui il titolo “Around Porgy and Bess 2.0”) che, oltre a tener conto di varie versioni sinfoniche succedutesi negli anni e dei ritmi frastagliati e dei  particolari colori timbrici che segnano la suite concepita da Gil Evans nel 1958 per il gruppo di Miles Davis, si è avvalso di modifiche, talvolta sostanziali, di parti dell’opera, espandendone alcune e concentrandone altre.

«Riproporre fedelmente il filo drammaturgico di “Porgy and Bess” – riferiva durante le prove Gaetano Randazzo – esponeva al rischio di una brutta copia. Paradossalmente, è stato il senso di umiltà e rispetto verso due autentici mausolei, quali sono Gershwin ed Evans, a suggerirmi l’idea di tagliare l’opera a pezzi e ricucirli in modo nuovo, stimolandomi a mettere in trasparenza alcuni elementi particolari, a fare esplodere efficacemente talune deliziose contraddizioni delle partiture e, non ultimo, a costruire attorno a dei solisti d’eccezione qualcosa che mettesse in luce le loro qualità. Insomma, un lavoro condotto con appassionata manualità sartoriale».

E non c’è dubbio che gli adattamenti “sartoriali” di Randazzo abbiano vestito al meglio le possibilità tecniche ed espressive dell’ampio organico del Bellini (80 elementi tra orchestra sinfonica e jazz band) diretto con sicurezza ed efficacia (e spesso anche con piglio acrobatico) da Maniaci. L’idea di affiancare la tromba di Giacomo Tantillo (che sulla versione di Gil Evans ha elaborato la sua recente tesi di laurea) al flicorno di Vito Giordano è apparsa geniale, coi due fiati ad intrecciare limpidezza e opacità, irruenza e pastosità, lirismo e malinconia, e non meno felice quella di espandere il ruolo delle percussioni di Sergio Calì, impegnato a xilofono, vibrafono e marimba. Affascinante, poi, il ruolo assegnato alla vocalità, con una Daniela Spalletta capace di svisare tra canto e scat e giocare con sorprendente agilità tra toni bassi e alti (splendidi i suoi interventi in “Waiting for”, “Overflow” e “Prayer, oh doctor Jesus”).

Sempre in tema di vocalità, sono apparsi spettacolari (e sottolineati da applausi ancor più scroscianti) i brani in cui alla voce di Spalletta si è aggiunto il coro a cappella dei SeiOttavi: “A cappella song” (basato su “Leavin’ for the promise’ land” e ripetuto come bis) e “Beguine rhythm”, entrambi adattamenti di Randazzo da originali di Gershwin. Non sono mancate, ovviamente, le pagine più famose dell’opera, prima tra tutte “Summertime” e poi “Bess, you is my woman now”, “It ain’t necessarily so” e “I loves you Porgy”, ma anche altre assai meno note hanno ricevuto un’attenzione così trepidante (sia negli arrangiamenti che nelle esecuzioni) da illuminarle di nuova luce.

“Porgy and Bess” non è forse l’opera più popolare di Gershwin (ma è concordemente indicata come il suo capolavoro per sintesi mirabile tra elementi sinfonici, jazz e folk americano) e questa speciale versione, proprio come indica il titolo, è solo un viaggio “intorno” all’originale: tuttavia la raffinatezza della confezione “sartoriale” e le emozioni regalate da solisti e compagine orchestrale ne amplificano ed illuminano viepiù la bellezza.

Gigi Razete